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Ciao ragazze, oggi ho con me Barbara Antongiovanni, psicologa e psicoterapeuta, per parlare della rabbia delle mamme.
Con Barbara abbiamo anche registrato un podcast per parlare della depressione post-partum e di come riconoscerla, i cui riferimenti troverete alla fine di questo articolo.
Qualche settimana fa Barbara mi ha scritto e consigliato di leggere il libro di Alba Marcoli La rabbia delle mamme. Questo testo è il sunto dell’esperienza dell’autrice, una terapeuta che ha creato uno spazio fisico per “mamme arrabbiate” dove confrontarsi senza timore di giudizio sui sentimenti ambivalenti che comporta la maternità. Con Barbara oggi parleremo quindi della rabbia delle mamme e rifletteremo insieme sul tema più tabù di tutti gli argomenti legati alla maternità. Intanto la lasciamo presentarsi:
Sono psicologa, psicoterapeuta e attualmente lavoro in uno studio privato a Rapallo, in provincia di Genova. La mia formazione si è svolta principalmente in un ospedale pediatrico ed è da li che è nato il mio interesse per le mamme e i bambini. Ho letto il testo di Alba Marcoli prima di diventare mamma e anche dopo, consigliandolo a molte delle donne che seguo, spaventate dai pensieri intrusivi sperimentati dopo la nascita dei loro figli.
Ecco i punti principali che abbiamo affrontato in questo podcast.
Racconto a Barbara di aver sempre trovato una certa resistenza da parte di persone senza figli rispetto ai racconti delle mie difficoltà e dei pensieri scomodi che la maternità mi ha spesso suscitato. Secondo lei è una resistenza molto presente anche nelle madri, che non si concedono sentimenti di rabbia e frustrazione:
Capita spesso, dopo il parto, di provare sentimenti contrastanti rispetto ai propri figli ed elaborare pensieri scomodi come “se tornassi indietro non lo rifarei” o “ho paura che potrei fargli del male”. Questi pensieri nella nostra società sono catalogati come scomodi e per questo le donne stesse li vivono come intrusivi, allontanandoli, proprio perché sono particolarmente disturbanti. In realtà la strada da percorrere è accoglierli. Questi pensieri sono normali e frequenti ma sono solo pensieri, non azioni. E’ importante verbalizzare questi sentimenti di rifiuto per contenere la paura e lo spavento e aiutare a mantenerli sul piano del pensiero.
Racconto a Barbara che tra i miei amici e familiari ho trovato poca comprensione di fronte ai racconti di questi pensieri disturbanti.
Spesso con il passare degli anni avviene un processo di idealizzazione per cui si tende a ricordare solo il positivo e rimuovere il negativo. Per questo motivo alcune mamme, oggi nonne, faticano a ricordare le difficoltà del post partum. Allo stesso tempo la condivisione è fondamentale. Io ho vissuto la gravidanza contemporaneamente a mia sorella ed è stato importante scambiarci conforto rispetto ai pensieri intrusivi che abbiamo avuto e alle difficoltà. La condivisione è il punto focale su cui si basa tutto il libro di Alba Marcoli, un riassunto della sua esperienza di terapeuta nei gruppi di “mamme arrabbiate”. Lei ha seguito queste donne per anni dimostrando come per loro abbia fatto la differenza avere uno spazio dove esprimere liberamente le proprie difficoltà. Il loro essere mamma è cambiato nel momento in cui si sono sentite accolte e il messaggio del libro è proprio questo: se io mamma mi sento capita e accolta, riuscirò più facilmente a capire e accogliere mio figlio.
La rabbia è un sentimento che si fa fatica ad associare alla figura materna. Barbara ci spiega invece come sia non solo naturale ma anche funzionale al rapporto mamma-bambino:
La rabbia è l’altra faccia dell’amore. In tutte le relazioni importanti della nostra vita ci deve essere un pò di amore e un pò di odio. E’ normale amare il partner in alcuni momenti e odiarlo in altri. Allo stesso modo è normale amare i propri figli in alcuni momenti e odiarli in altri, ad esempio quando sentiamo che limitano la nostra libertà. La rabbia fa parte dell’ambivalenza di tutti i rapporti maturi e nei casi in cui viene costantemente repressa si creano relazioni psicopatologiche dove la madre non è in grado di percepire il figlio come un individuo ma lo vive come una prosecuzione di sè.
Un esempio importante è quello della gravidanza: molte donne arrivano ad odiare la fine della gestazione e non vedono l’ora di “liberarsi” del bambino. Questo odio è funzionale perché permette di separarsi dal bambino e darlo alla luce.
Molte donne provano un profondo senso di colpa per i sentimenti di rabbia, fatica e frustrazione nei confronti dei loro figli. Barbara ci spiega come questo senso di colpa sia inutile e dannoso:
Il senso di colpa non risolve le situazioni di difficoltà, come il non riuscire ad allattare o a calmare il bambino. Bisogna capire che non esistono standard a cui uniformarsi e pensarlo potrà solo farci sentire inadeguate. Il momento in cui le mamme iniziano a parlarmi di senso di colpa è il momento in cui consiglio loro il libro di Alba Marcoli, per far loro capire che non c’è colpa, diventare madre è un processo durante il quale si può sbagliare, si possono avere pensieri aggressivi, l’importante è aprirsi e condividere. Lamentarsi non è inutile, ammettere la tristezza o l’insoddisfazione va bene. Non arriverà una medaglia alla fine della corsa se si è state sempre felici e soddisfatte.
Il mio spazio sui social (mi trovate qui su instagram) è nato proprio per offrire alle mamme un luogo fisico dove parlare delle loro difficoltà e confrontarsi con altre donne che stanno vivendo le loro stesse sensazioni, senza pregiudizio.
Nella vita di una donna ci sono diverse crisi di passaggio: le principali sono l’adolescenza, la maternità e la menopausa. In questa società siamo molto attenti alle crisi di passaggio che attraversano i bambini ma ignoriamo totalmente la principale crisi di passaggio delle donne che è la maternità. Barbara ci spiega come l’attenzione sulle mamme dovrebbe essere prioritaria.
Ci sono società come la nostra in cui si da grande importanza alla donna durante la gravidanza ma pochissima nel dopo parto. In altre società avviene l’opposto. In generale l’estrema attenzione sui bambini, a discapito delle madri, potrebbe dipendere dalla spinta di prosecuzione della specie o forse da un fattore culturale ma è comunque necessario cambiare. Spesso mi è capitato di iniziare a lavorare con un bambino e finire per prendere in terapia la mamma perché so che è impossibile far star bene un bambino se la mamma dietro di lui non è serena. Se io le mostro come prendersi cura di qualcun altro prendendomi cura di lei, più facilmente potrà prendersi cura dei suoi figli.
Aiutare una mamma a stare bene sotto ogni punto di vista, economico, psicologico e sociale, porterà come primo risultato una migliore qualità della vita per i figli. Per portare avanti questa narrazione, in contraddizione con quella più rappresentata oggi, bisogna però essere un pò estremisti:
Parlando con un’amica ostetrica è emerso come l’attuale grande attenzione sull’allattamento al seno è stata una necessaria conseguenza di molti anni di promozione smodata della formula artificiale. Io credo la stessa cosa valga per la maternità. Venendo da decenni di cultura in cui la mamma è stata dimenticata, non basterà un post che parli dell’importanza della mamma, bisognerà scrivere tantissimo per bilanciare tutti gli altri luoghi dove si dice il contrario. Quando si fa contro cultura bisogna per forza essere un pò estremisti. Io credo che ci sia spazio sia per mamma che per bambino. Va bene mettere il bambino al centro ma non esiste bambino senza mamma. La forma più grande di prevenzione per il benessere psichico dei bambini, che saranno gli adulti di domani, è prendersi cura delle madri.
Barbara spiega come il mito della mamma perfetta sia estremamente dannoso e vada piuttosto sostituito con il concetto, elaborato dallo psicoanalista Winnicot, di mamma sufficientemente buona.
La mamma perfetta non esiste, ciò nonostante viene estremamente rappresentata dai media e dai social. Questo è dannoso perché qualunque mamma, in momenti diversi, si sentirà di non aderire a questo standard irrealistico. Winnicot spiega come una mamma perfetta non è solo inutile ma anche dannosa perchè si aspetterà figli altrettanto perfetti che, non potendo esserlo, saranno a loro volta insoddisfatti. L’idealizzazione della maternità potrebbe dipendere dalla necessità di portare avanti la specie ma bisognerebbe sostituirla con il concetto di amore maturo. L’innamoramento e l’idealizzazione durante la gravidanza lasciano spazio alla realizzazione degli aspetti scomodi e difficili. Questa realizzazione può avvenire nell’immediato dopo parto o dopo alcuni anni. In quel momento bisogna accettare che nella maternità ci sono pregi e difetti, arrivare ad avere una visione completa e realistica dell’essere mamma raggiungendo una mammificazione completa, per usare il termine che hai coniato.
Anche se quando ci si trova dentro sembra un momento infinito, bisogna ricordare che le difficoltà sono solo una fase e passeranno. I figli crescono e tutto è in continua evoluzione. Io suggerisco alle mie pazienti di ripetere alcuni mantra nei momenti di difficoltà, uno è appunto che prima o poi tutto passerà. Gli altri sono:
- Hai fatto il meglio che potevi fare. Questo aiuta a sconfiggere l’idea di perfezione.
- Non tutto è nelle tue mani. L’idea che la personalità del bambino sia tutto nelle mani della mamma è sbagliata, è importante ma non dipende tutto da lei. Questo è un pensiero confortante.
- Abbandona le battaglie perse. Questo mantra è suggerito da nel suo libro. Lei ricorda di scegliere bene le battaglie e lasciar perdere quelle che non possiamo vincere, come alcuni brutti ricordi d’infanzia.
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