
Ciao ragazze, oggi ho con me Lorenzo Gasparrini, filosofo e attivista femminista per parlare di femminismi e genitorialità.
Lorenzo è fondatore del blog Questo Uomo no, dottore di ricerca in estetica e autore di quattro libri tra cui “Perché il femminismo serve anche agli uomini” e “Non sono sessista ma” per edizioni Tlon. Lorenzo è anche papà di due bambini.
Lorenzo, tu parli di femminismi. Ci spieghi perché utilizzi questo termine al plurale?
Perché della storia dei femminismi si sa molto poco nel nostro Paese e quel poco che si sa è spesso frutto di luoghi comuni e passaparola. Quello che scompare in questa narrazione è la lunghezza e la complessità di una storia di teorie molto diverse tra loro che danno luogo a un interessante dibattito. Usare il termine femminismi è un modo di rendere giustizia a queste diversità. Noi pensiamo che il femminismo sia solo quel movimento nato alla fine degli anni ’60 ma in realtà è iniziato parecchi secoli prima e comprende tutti gli strumenti per acquisire libertà che ogni realtà geografica e storica vive e costruisce in modo diverso. Per capirci, il femminismo delle donne bianche del Nord Europa non è il femminismo delle donne islamiche o del Centro Africa. In ogni luogo e in ogni momento storico ci sono lotte diverse da fare.
In alcuni Paesi essere appellato come “femminista” è addirittura un insulto. Sto pensando alla Russia.
Può essere interessante ricordare che la parola femminismo nasca come definizione medica, per indicare la malattia degli uomini che si comportavano da donna. Questo termine è poi stato acquisito da quei movimenti politici che lottavano per dare alle donne gli stessi diritti degli uomini, concetto che alla fine del 700 sembrava profondamente scandaloso. Da lì il termine femminismo ha assunto l’accezione negativa di pensiero che fa comportare le donne come non dovrebbero. Ancora oggi in molti casi permane la sfumatura negativa ma ci sono appunto paesi dove vale come insulto, qualcosa contro la tua natura, impresentabile socialmente.
Tu cosa ne pensi?
Per me utilizzare questo termine è innanzitutto una forma di giustizia nei confronti delle cose che ho studiato. Si chiamano così, appartengono a quel pensiero e quindi le chiamo con il loro nome. Ci sono paesi e tradizioni culturali, come quella francese o anglosassone, dove questa parola non è fonte di scandalo ma in Italia ci sono parecchie resistenze. Non solo tra gli uomini ma anche tra le donne, femministe della prima ondata, che fanno comprensibilmente fatica ad accettare che questo termine sia utilizzato dagli uomini.
Tu ti definisci femminista. Cosa rispondi a chi in risposta ti dice che dovresti vergognarti?
Chi dice una cosa del genere non ha alcuna idea di cosa sia il femminismo e del perché non c’è assolutamente niente di cui vergognarsi. Capisco invece che le donne che hanno vissuto il femminismo di alcuni anni fa possano avere delle resistenze nel sentir usare questo termine da chi all’epoca non era compreso nel movimento. Chi invece dice che si tratta di estremismi non sa di cosa sta parlando. Anche questo è comprensibile perché nel nostro paese le lotte femministe sono state raccontate malissimo avallando pregiudizi e luoghi comuni.
A proposito di femminismi e genitorialità, nel tuo libro spieghi perché il femminismo serve anche agli uomini
Non si tratta di fare paragoni. Quello che cerco di dire è che gli uomini hanno tanto da imparare dalle lotte femministe perché anche loro devono liberarsi dai pregiudizi e luoghi comuni che hanno sul loro stesso genere. I femminismi spiegano come si fa a rendersi conto di avere un’identità che esuli da stereotipi e pregiudizi.
Molti uomini si rendono consapevoli delle costrizioni a cui loro stessi sono sottoposti in una società patriarcale. Facciamo un esempio.
Mentre per una donna ci sono tanti modelli di femminilità diversi in cui riconoscersi (madre, casalinga, coppia omogenitoriale, donna in carriera ecc), per gli uomini è più difficile perché viene raccontato loro che esistono solo alcune caratteristiche maschili in cui riconoscersi. Essere forte, non piangere, essere di successo sul lavoro, primeggiare tra gli altri uomini. Non si tratta di possibilità ma di qualcosa che rappresenta la tua identità e se non ti ci riconosci puoi andare facilmente in crisi. E’ molto difficile far capire agli uomini che questi diktat sono del tutto culturali e non biologici.
In che senso?
La società racconta agli uomini che devono essere in un certo modo per farli lavorare al successo economico, per costringerli a relazioni poco impegnative emotivamente per non distoglierli dalla produttività, per distoglierli dai lavori di cura e relazionali raccontando loro di non essere adatti. Racconta loro che il testosterone guida ogni loro decisione, assurdità ormai smentite scientificamente ma le alternative a questo modello sono ancora da costruire, viviamo in una cultura che continua a raccontare di mascolinità tradizionale.
Spesso le donne sono tanto sessiste quanto gli uomini, magari nel dire loro che devono lavorare, essere responsabili di una certa attrattiva sessuale. Che ne pensi?
Il sessismo è una strategia sociale a disposizione di tutti, è uno strumento di potere efficace e lo usa chi ne ha bisogno. Tradizionalmente lo hanno usato e lo usano gli uomini per ottenere vantaggio sociale sulle donne ma anche le donne possono usare questo strumento contro altre donne o contro gli uomini. Che i ruoli si possano cambiare è evidente già solo dagli esempi che usiamo come quello orribile di “donna con le palle”. Ci dice che certe caratteristiche non sono biologiche ma si tratta di ruoli sociali che possono cambiare anche se c’è una forte resistenza.
Come mai?
Gli uomini fanno fatica a riconoscere caratteristiche negative tipiche del loro genere. Quando si parla di violenza maschile tutti insorgono al grido “ma non tutti gli uomini sono così”. Ovviamente il termine violenza non riguarda chiunque nasca con genitali maschili ma si rivolge a un’immagine del maschile diffusa nella società ed è uno stereotipo che va combattuto. Quel modello va combattuto, non i singoli uomini. Per questo non devo chiamarmi fuori di fronte alla violenza di genere, perché anche io sono cresciuto in quel modo e poteva capitare anche a me.
A proposito di femminismi e genitorialità. Io ho una bambina e le mamme spesso mi chiedono come fare per crescere un figlio femminista. Tu cosa consiglieresti?
Chi vuole puo leggere i miei libri ma è importante ricordare che se crediamo che esista una ricetta non abbiamo capito il problema. Parlando di femminismi e genitorialità, a me non interessa che i miei figli siano femministi. Ciò che mi preme è educarli ad essere sensibili alle oppressioni, ovunque esse si manifestino, sia per i discorsi di genere che per altri.
Ti è mai successo un episodio particolare in questo senso?
Quando mio figlio Andrea tornò dalla scuola materna arrabbiato e mi raccontò che le bambine non lo lasciavano giocare con la cucina. Indagando con la maestra scoprimmo che divideva la classe in maschi e femmine nell’ora di gioco facendo usare ai primi le macchine e le costruzioni e alle seconde le bambole e la cucina. Questo episodio fa capire come Andrea sia stato educato a sentire un allarme quando qualcuno prende una decisione ingiusta, in questo caso dividere un gruppo in due categorie che in quel momento non dovrebbero esistere. Questo dobbiamo fare con i nostri figli, farli diventare sensibili a queste dinamiche di potere. Questo farà loro capire cosa è una discriminazione.
Quello che ho capito è che queste dinamiche nascono da subito, dalla nascita noi siamo abituati a trattare i maschi in un modo e le femmine un un altro. Per questo è importante parlare di femminismi e genitorialità.
Assolutamente. Per esempio, ci accorgiamo subito che per le donne è stato pensato il colore rosa, per gli uomini il blu. Questo è un costrutto assolutamente sociale e recente, basti pensare che agli inizi del secolo il rosa (da un rosso sbiadito) era il colore di quasi tutte le società sportive ed è tutt’oggi il colore della Gazzetta dello sport. Dopo la seconda guerra mondiale il marketing americano si è reso conto che confezionando lo stesso prodotto per uomini e per donne faceva vendere il doppio e si è deciso convenzionalmente di attribuire un colore diverso ad ogni prodotto. Nonostante sia evidente che si tratta di una scelta arbitraria, tutt’oggi per un uomo è difficile indossare qualcosa di rosa perché banalmente non si trovano indumenti del genere. In altri paesi è diverso, in Ghana come in India il rosa è un colore neutro senza alcuna accezione femminile.
La maggior parte degli uomini non si rende conto che si sente inadatto a curare un neonato perché per tutta al vita si insegna agli uomini a non dosare la loro forza ma usarla alla massima potenza. Non vengono abituati ad adattare il proprio corpo ai bisogni e alle esigenze di un altro corpo. Sono gli stessi uomini che protestano se trovano un educatore di infanzia uomo per i loro bambini. Molti si chiedono perché in Italia non ci siano maestri di scuola elementare. Non stupisce, visto che i primi gradi di istruzione sono considerati poco stimolanti lavorativamente e agli uomini si insegna che devono avere successo. Anche questo è un costrutto sociale e culturale, basti pensare che nel libro Cuore i maestri erano tutti uomini.
Come rispondere a chi, anche in famiglia, giudica se si insegna al proprio figlio maschio a dedicarsi ad attività viste come femminili come la cucina o pulire?
I figli replicano quello che vedono e verrebbe da chiedere a queste persone cosa ci sia di strano in un uomo che pulisce la propria casa. Io dico sempre che ho imparato a fare pipì da seduto quando ho iniziato a pulirmi il bagno da solo. C’è anche da dire che bisogna capire chi è il proprio interlocutore e se vale o meno la pena aprire un dialogo in questo senso.
Sempre parlando di femminismi e genitorialità, crescere bambini femministi è una responsabilità delle madri o gioca un ruolo anche il contorno sociale?
Il ruolo del genitore è importante ma un figlio nasce in un ambiente, con depositi culturali che agiscono su di lui. Io dico che non bisogna sforzarsi troppo per ottenere certi risultati nei nostri figli, diamogli piuttosto degli strumenti affinché loro ottengano dei risultati.
Ricordo un episodio in cui mia suocera disse a mia figlia che un piatto che aveva preparato non era buono e lei rispose “allora cucinalo tu”. Lorenzo, tu sei cresciuto in un ambiente femminista?
No, la mia è stata una scoperta molto tarda, all’università. ho trovato testi femministi che portavo ai miei relatori e mi sentivo dare risposte che trovavo assurde, che quella non fosse vera filosofia ma roba da donne. Ho capito che non si trattava di dispute accademiche ma un problema più profondo, qualcuno che non voleva ammettere l’esistenza di questo discorso critico e portava avanti un ostruzionismo verso certe teorie e certe pratiche che avrebbero messo in discussione un certo tipo di potere. Ho continuato questi studi in modo indipendente finche non ho capito da filosofo che questa era la mia strada.
Recentemente ho parlato sui miei social del carico mentale delle donne e si è sollevato un dibattito. Tra donne che accusavano le altre donne di non essere in grado di scegliersi un uomo e uomini che sostenevano che la donna come regina della casa detenga il vero potere. Che ne pensi?
Il termine “regina della casa” è ridicolo, si tratta di un potere esercitato in uno spazio minuscolo. Nessuno riflette mai quanto sia ridicolo il potere in uno spazio minuscolo. La regina della casa non conta niente, c’è un mondo intero fuori dalla casa. E’ una presa in giro che funziona da secoli. Per quanto riguarda il carico mentale, è ovvio che chi non l’hai mai avuto dica che non esiste. Per gli uomini è molto difficile ammettere i propri condizionamenti. Io non me ne posso accorgere perché per come sono stato educato a mettere in ordine le mie priorità di vita letteralmente non posso accorgermi di questo carico. Gli uomini non si mettono davanti allo specchio perché non si sentono mai soggetti allo sguardo altrui e non sanno cosa significa.
Cosa ne pensi della frase “non sei stata capace di scegliere un uomo”?
Una frase tremenda. C’è l’idea che non esista un felice incontro da assaporare insieme ma che ci sia una scelta da operare sulla base di caratteristiche. Questo è uno sguardo patriarcale che possono avere anche le donne. Come gli uomini giudicano il corpo delle donne a pezzi allo stesso modo le donne ti dicono che devi scegliere un uomo di successo, responsabile, una lunga lista di caratteristiche che nessuno si chiede se siano quelle adatte a te ma sono quello che la società ritiene sia migliore.
Anche per le mie coetanee è molto difficile, anche se si considerano femministe. Dopo il primo figlio si accorgono di non avere uomini che la pensano come loro vicino ma che invece operano molta resistenza al lavoro di cura.
Gli uomini che ragionano così non si rendono conto di quanto si perdano. Molti uomini vedono nel diventare genitori una perdita di libertà e di autonomia, vedono tutto in perdita ed è una visione triste. Diventare genitore è un totale cambiamento ma non bisogna avere una logica di perdita e di guadagno. La tua libertà di decidere trova un limite nella vita di un altra persona. Molti padri lamentano in età più avanzata che i figli non riconoscono la loro presenza e autorità ma avviene perché nel momento in cui la loro presenza era necessaria non c’erano. Se esistono paesi in cui il congedo di paternità è obbligatorio significa che qualcuno ha capito che quel ruolo è importante.
Tu voteresti per una legge del genere?
Assolutamente. Con uno dei miei due figli ho vissuto questa situazione perché ero senza lavoro e ho capito quante cose mi ero perso e quante cose di me non avevo conosciuto. Gli uomini penseranno sempre di non essere capaci di provare certa tenerezza o di saper curare un bambino se non lo fa mai. Io ho frequentato e consiglio un gruppo di discussione per padri e ho conosciuto un ragazzo padre che a 17-18 anni aveva imparato cose a cui io sono arrivato solo molti anni dopo.
Cosa rispondi quando alcuni sostengono che le donne non vogliono più fare le madri? E che femminismi e genitorialità non possono andare di pari passo?
Che è giusto che le donne non vogliano fare la madri a queste condizioni. La rabbia dei femminismi non è contro l’uomo o contro la figura materna ma contro il modo in cui la società fa vivere questi ruoli facendo ricadere tutto il lavoro sulla donna.
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