
Ciao ragazze, oggi ho con me Maurizio Quilici, la prima voce maschile dopo ben 40 ospiti donne, per parlare di rivoluzione paterna. Laureato in giurisprudenza con una tesi sugli effetti della deprivazione paterna, si occupa di paternità da oltre cinquant’anni. E’ autore di “La Storia della paternità” e “Grandi uomini, piccoli padri” oltre ad essere Presidente dell’Istituto di Studi sulla paternità.
Come è nata questa sua passione?
Per due ragioni principali: il bel rapporto avuto con i miei genitori e in particolare con mio padre e il mio amore per il mondo dell’infanzia che si è espresso prima come padre e oggi come nonno di cinque nipoti.
Nel suo libro “La Storia della paternità” descrive il concetto di rivoluzione paterna. Cosa intende?
La rivoluzione paterna indica il cambiamento dei padri al quale assistiamo da circa 60 anni, un cambiamento che ha portato a caratteristiche paterne che non sono mai esistite nei 2000 anni di storia che ci precedono: tenerezza, effusioni fisiche, dimostrazioni affettive. Per millenni la paternità è stata connotata da autorità e potere ma negli ultimi 50-60 anni per una serie di passaggi storici, di cui l’ultimo la rivoluzione del ’68, ha portato gli uomini a scoprire che essere padri e fare i padri sono due cose diverse. L’uomo ha scoperto gradualmente l’arricchimento che porta il rapporto padre-figlio e la possibilità di esternare le proprie emozioni. In generale, assistiamo a un cambiamento del maschile che prova ad abbandonare lo stereotipo di padre padrone per dedicarsi alla crescita dei figli fin dalla nascita e anche prima.
Prima i padri non dimostravano l’affetto in modo fisico o semplicemente non abbiamo documentazione che ce lo racconti?
Abbiamo diverse documentazioni che ci raccontano come nei primi del 900 gli stessi medici sconsigliassero ai padri di toccare i figli appena nati, lasciando che se ne occupassero solo le madri. Ciò testimonia un’opinione diffusa e comune per cui i figli erano territorio materno e i padri, pur amandoli, si inserivano nel rapporto in modo diverso. Mio padre, con cui ho avuto un ottimo rapporto, dimostrava il suo amore e interesse facendo esperienze con noi ma raramente in modo fisico.
Secondo lei questo cambiamento è del tutto positivo?
Come in tutti i cambiamenti esistono luci e ombre. La novità del padre affettivo ha coinciso con la perdita del padre normativo cioè il padre che ha la funzione di dare regole e limiti. E’ subentrata la fase del padre amico e del mammo e ciò per me rappresenta un eccesso. E’ giusto e sano che il padre mostri empatia e comprensione verso i figli ma deve rimanere quel rapporto verticale tra due generazioni diverse perché i figli non hanno bisogno di un altro amico ma di una guida. Quanto al mammo, anche in questo caso si parte da un presupposto sbagliato, vuol dire che il padre non è in grado di esserlo a modo suo e per questo copia gli atteggiamenti materni. Ciò è comprensibile visto che i padri di oggi non hanno modelli a cui rifarsi e quindi si appoggiano a modelli femminili come le loro madri o mogli.
Vorrei commentare con lei un passo del suo libro “Storia della paternità”: “[…] Ma attenzione: quanto preoccupa – e giustamente – molti psicologi non è tanto l’aspetto dell’accudimento paterno, che ha fatto propri molti comportamenti tradizionalmente della madre. Cambiare pannolini o spingere una carrozzina, preparare una pappa o accompagnare i figli a scuola non intacca certo il modello maschile di padre. Quello che invece comporta dei rischi è l’aspetto sommerso, inconscio della maternizzazione paterna”.
In questo passaggio spiego come sia positiva l’elasticità dei ruoli a patto che non diventi confusione. Ritengo che padre e madre debbano collaborare e al bisogno sostituirsi a vicenda ma debbano comunque ricoprire ruoli diversi.
Guardo con un pò di timore a questa maternizzazione dell’uomo che si esprime tramite due caratteristiche che per secoli abbiamo identificato solo con il femminile: il senso di possesso e l’apprensione. Questi due aspetti sono sempre stati comprensibili nell’universo materno poiché derivati dal vissuto biologico della gravidanza e del parto ma oggi osserviamo molti padri con queste caratteristiche. Questo contraddice il ruolo funzionale paterno di spingere i figli verso l’esperienza proprio perché non trattenuto e legato dal senso di possesso della madre. Tutta la psicologia dell’età evolutiva ha assegnato al padre la funzione di tagliare il cordone ombelicale che lega una madre ai figli e che senza l’intervento paterno potrebbe diventare un rapporto simbiotico e nefasto. Questo oggi diventa più difficile.
Ad oggi assistiamo ad un cambiamento per cui non esiste più il conflitto generazionale che in età adolescenziale opponeva il figlio ai genitori. In particolare il padre ha tradizionalmente ricoperto il ruolo dell’autorità per cui non è un bene che questo conflitto venga bene perché serve a conoscersi meglio ed è funzionale alla crescita del rapporto. Oggi padri e madri sono timorosi del conflitto in famiglia ma noi sappiamo che esiste un conflitto negativo e uno positivo e quel conflitto generazionale gestito con buon senso era positivo.
Trovo molto illuminante questo concetto. Parlando con molte giovani madri noto come oggi esista un grande timore del conflitto con i propri figli. Come si esce da questo bisogno di essere per tutta la vita la persona speciale del proprio figlio, escludendo il conflitto?
E’ necessario che ognuno, nella propria sfera di competenza (psicologi, medici, educatori, mass media) passi il messaggio ai genitori che il loro compito non è soddisfare sempre i figli ma educarli. L’educazione prevede una certa dose di frustrazione che è importante che i figli provino.
Lei ritiene che oggi sia più difficile fare il genitore rispetto al passato?
Assolutamente si. Un tempo i genitori erano cristallizzati in ruoli schematici: il padre era il motore economico e l’intermediario tra famiglia e società, la madre l’angelo del focolare che faceva da tramite tra i figli e il padre. Questa semplificazione dei ruoli rendeva tutto più immediato e meno complesso. Oggi i ruoli sono giustamente più fluidi e già questo può rendere la cosa più complicata ma soprattutto siamo immersi in una società che spesso rema contro le scelte educative dei genitori. Un classico esempio è quello del cellulare. Un genitore può scegliere di non farlo usare al proprio figlio che però sarà immerso in una società che lo utilizza e questo renderà la vita del genitore più difficile.
Cosa può dirci dell’istinto paterno? Esiste?
E’ una questione discordante tra vari autori, alcuni negano che esista, altri lo confermano. Io personalmente credo che un istinto paterno esista, pur esprimendosi in modo diverso da quello materno. Si tratta del primordiale istinto umano che porta a difendere un essere indifeso e che si fortifica quando riguarda il proprio figlio. Un istinto che spinge all’amore e alla tutela.
E crede che esista un istinto materno?
Senza un istinto materno naturale la riproduzione degli esseri viventi sarebbe complessa. Personalmente però credo ad un istinto materno sfrondato dai vari stereotipi che hanno contribuito nei secoli a relegare la donna in un ruolo totalizzante e sacrificante.
Secondo lei gli uomini di oggi sanno cosa aspettarsi quando diventano padri? Sono adeguatamente preparati dalla famiglia e dalla società?
Sicuramente oggi c’è più consapevolezza dovuta alle maggiori informazioni a disposizione. Tuttavia rimane un’ampia fascia di giovani che si avvicinano alla paternità ma ancora prima alla vita di coppia senza sapere a cosa vanno incontro. Ci si aspetta che l’unione con qualcuno raddoppi godimento e benefici ma non si considerano le possibili difficoltà, i sacrifici e i compromessi necessari per mandare avanti una famiglia. Sarebbe necessario proporre corsi pre matrimoniali laici sulla falsa riga di quelli religiosi.
Molte giovani madri mi dicono di sentirsi tradite nelle loro stesse aspettative quando si accorgono che la vita con un bambino è diversa da come l’avevano immaginata.
Bisognerebbe che qualcuno spiegasse la realtà senza allarmismi ma con onestà e offrisse poi spunti e suggerimenti su come superare i momenti complicati sia per le mamme che per i papà.
Nella famosa narrazione del rapporto tra mamma e figlio come diade indissolubile e fondamentale allo sviluppo del bambino il padre che ruolo ha?
Per decenni ha imperato lo stereotipo degli psicologi dei primi del 900 come Bowlby per i quali il padre aveva una funzione del tutto indiretta, atta solo a favorire la tranquillità della madre ma non è così. Il padre svolge da subito una funzione diretta, si relaziona con il figlio in modo diverso dalla madre ed è positivo che da subito il bambino entri in contatto con due universi complementari. Gli studi hanno dimostrato che tanto più precoce è il rapporto padre e figlio quanto più questo è predittivo di un rapporto empatico e duraturo. Approfitto per suggerire alle giovani mamme di non essere escludenti verso il partner, volendo farsi carico interamente della cura del bambino. Questo infatti scoraggia il padre che potrebbe, nei casi più gravi, allontanarsi del tutto.
A mio parere sono molto problematici i manuali esclusivamente focalizzati sull’effetto che ha la mamma sul bambino tanto da paralizzare molte donne nell’idea di lasciare ad altri il timone. Allo stesso tempo mi raccontano di padri totalmente disinteressati ad avere un ruolo più attivo nella gestione familiare.
Quello che io consiglio è cercare di coinvolgere i padri fin da subito, insistere sul fatto che il figlio abbia bisogno del padre.
Esiste anche un’altra realtà, quella di famiglie in cui padre e madre svolgono lo stesso identico ruolo, lavorano lo stesso numero di ore e fanno le stesse cose, non ci sono confini di ruolo ben definiti. Cosa ne pensa?
Io sono spettatore di questa trasformazione ma non saprei dire quale sarà il futuro anche per i padri. Noi ci auguriamo un padre tenero e affettuoso e autorevole allo stesso tempo. Possiamo auspicare un padre più materno e una madre più paterna che è ciò che già sta accadendo ma non possiamo sapere nello specifico a cosa porterà questo nuovo modello familiare.
Cosa tratta invece il suo secondo libro, “Grandi uomini piccoli padri”?
Analizza alcune personalità geniali tra cui Galileo, Tolstoj e altri, accomunati oltre che dal genio anche dal distacco e il disinteresse vero i figli. Ho citato anche alcune donne con le stesse caratteristiche come Maria Montessori. Nel caso degli uomini che cito, hanno avuto delle mogli totalmente sacrificate al loro genio. Basti pensare a Milena, la moglie di Einstein, una scienziata di grande talento che ha dovuto fare un passo indietro per sostenere le scoperte del marito.
Secondo lei la genialità può coesistere con la paternità coinvolta?
Sembra ci sia una soglia al di la della quale il genio si ritrae, sentendo che le sue capacità e potenzialità subirebbero un raffreddamento e un calo se andasse oltre nella sfera affettiva. Per questo si isola anche dai rapporti più profondi come quello con i figli.
Ho notato che nei casi di madri che hanno sacrificato il rapporto con i figli per la carriera, come Maria Montessori, il giudizio della società è inclemente mentre verso i padri con lo stesso atteggiamento c’è più indulgenza.
Questo forte giudizio morale verso le madri è tipico dell’Italia, un paese maschilista e matricentrico. Non è un caso che le esclamazioni di stupore nel resto del mondo si rifacciano a una divinità mentre solo in Italia esiste l’espressione “Mamma mia”.
Questo in molti casi si traduce con un calo della natalità. In Italia sempre meno donne fanno figli perché non vedono la possibilità di conciliare carriera e vita privata con la maternità.
Questo è un problema prevalentemente di welfare carente. In altri paesi infatti, con sostegni maggiori alla genitorialità, non si registrano questi stessi cali. Inoltre in Italia le donne sono estremamente seguite durante la gravidanza ma del tutto abbandonate dopo il parto.
In questo senso secondo lei la rivoluzione paterna ci può aiutare?
Assolutamente. Una genitorialità condivisa sul piano pratico ed emotivo può sicuramente allentare il peso sulle donne.
Abbiamo parlato di buon genitore. Lei che regole ha per stabilire cosa sia un buon genitore?
Sul sito dell’Istituto sulla paternità abbiamo scritto il decalogo del buon papà. Alcuni punti sono: evitare il doppio messaggio (dire una regola e nei fatti non rispettarla), mantenere un rapporto verticale e dare delle regole, spiegare sempre i motivi di un divieto, essere di esempio nel rispetto dei rapporti di coppia per insegnare lo stesso rispetto.
Ringrazio Maurizio Quintili per il suo tempo. In questi giorni è uscito il suo ultimo libro, “Non togliete la gioia agli animali”, sull’evoluzione del rapporto tra uomo, animali e ambiente dalla preistoria ad oggi.
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1 Comment
Intervista molto interessante con spunti di riflessione nuovi.
Grazie di cuore a Natalia e a Maurizio