
Ciao ragazze. Oggi ho con me Gaia, conosciuta sui social come Siankiki. Gaia è una mamma italiana nella savana e oggi ci racconterà della sua vita e della sua esperienza di maternità.
Da dove ci chiami Gaia?
Vi sto parlando dalla savana, al confine tra Kenya e Tanzania. Oggi il tempo è piuttosto brutto ma se non ci fossero tutte queste nuvole vedrei di fronte a me il Kilimangiaro, sembra di vivere in un documentario.
Iniziamo dalla tua storia, come è arrivata una mamma italiana nella savana?
Sono arrivata nel 2014, studiavo in Inghilterra e mi stavo laureando in fotogiornalismo. Venni in Kenya per un’esperienza accademica tramite una borsa di studio e capitai in terra Masai per svolgere dei progetti fotografici. Qui conobbi un ragazzo che oggi è mio marito e padre di nostra figlia.
Come vi siete conosciuti?
Ero seguita da un’associazione per la quale producevo contenuti fotografici e la mia coordinatrice mi suggerì la terra masai per svolgere alcuni progetti personali. Io ero specializzata in ritrattistica quindi decisi di fare una serie di ritratti alle donne in abiti tipici all’interno delle abitazioni tradizionali usando solo la luce naturale. Stavo giusto fotografando una di queste ragazze quando arrivò suo marito, un guerriero che era all’oscuro della mia presenza e si creò una situazione di imbarazzo. Per capire meglio cosa stesse succedendo chiamò un altro guerriero. Era Ntoyiai, mio marito.
Quindi da quel momento hai deciso di rimanere li?
Sono rimasta un mese o due, poi rientrai in Inghilterra per dare gli esami e tornai in Kenya. Li la nostra relazione divenne più seria.
La decisione di trasferirti definitivamente è stata semplice?
Non è stata una decisione immediata, ma è maturata nel corso di tanti anni. Io in quel periodo studiavo, facevo avanti e indietro dall’Inghilterra. I miei studi in quel momento avevano la priorità. Dopo un periodo difficile della mia vita è arrivata la decisione definitiva, ormai vivo stabilmente qui da più di due anni e qui è nata nostra figlia Lily Rose Naresiai detta Nare.
Personalmente conosco molte donne che si sono spostate per seguire i propri compagni, me per prima, ma la maggior parte sceglie poi di partorire nel proprio paese di origine. Tu hai mai avuto dubbi in proposito?
No perché la nostra vita e la nostra casa sono qui e questo è il Paese a cui ci sentiamo di appartenere in questo momento. Sono una mamma italiana nella savana, mia figlia è nata a Nairobi perché ho avuto alcune complicazioni ed è nata prima della 34esima settimana. L’ospedale della nostra contea non era attrezzato per un parto prematuro quindi siamo andati all’ultimo all’ospedale di Nairobi.
Deve essere stata un’esperienza difficile.
Si, io sapevo di dover fare un cesareo per una precedente rottura del bacino e, soffrendo di iperemesi gravidica, il mio ginecologo aveva deciso di farmi partorire prima del previsto. Ero in città per un controllo ecografico e per ricevere in due giorni dei farmaci per preparare i polmoni della bambina alla nascita. Al secondo giorno, durante una eco non prevista, emerse che la bambina era in grave sofferenza. Il giorno dopo partimmo per Nairobi e mia madre prese il primo aereo disponibile dall’Italia per raggiungermi. Ricordo con grande piacere la professionalità del mio ginecologo e di tutto lo staff dell’ospedale.
Tu sei una mamma italiana nella savana. Ma se una cosa del genere fosse successa a qualcuno che non aveva la possibilità di recarsi in ospedale a Nairobi e sostenere le spese?
In Kenya come in molti altri paesi c’è un innegabile problema di assistenza sanitaria. Tutto è privato e se non si ha una buona assicurazione bisogna adeguarsi. Personalmente, se avessi avuto una gravidanza fisiologica e a termine avrei partorito nell’ospedale della nostra contea, nonostante il reparto maternità, dove ho svolto i controlli, sia in pessime condizioni. Una mia conoscente ha comunque avuto un parto prematuro in quella struttura ed è andato tutto bene. Credo anche che la natura faccia il suo corso.
Le donne masai come vivono la gravidanza, nascita e post partum?
Dipende da molti fattori. Tendenzialmente non si partorisce più in casa, addirittura gli ospedali del nostro centro abitato multano le donne che partoriscono in casa e poi non portano il bambino a fare i controlli nelle cliniche. Oggi la gran parte delle donne partorisce nelle piccole missioni nei centri abitati vicini. Inoltre i 3 mesi dopo il parto sono sacri e mamma e bambino non possono uscire di casa. La donna deve riposarsi e concentrarsi sul bambino ed è aiutata dalle donne di tutta la comunità che la sollevano dalle altre incombenze.
Come vivono questo aspetto le donne del posto?
Attualmente ho due cognate in casa perché entrambe hanno appena partorito. Nessuna la vive come una forzatura, magari patisce più chi per temperamento ama uscire ma in generale nessuna la vive male.
Come mamma italiana nella savana, anche tu hai seguito questa tradizione?
No. Io sono stata a Nairobi i primi due mesi dopo la nascita di mia figlia, su consiglio del mio ginecologo e del pediatra per tutelare la bambina nata molto piccola. Il mese successivo ho chiarito che mi sarei comportata diversamente dalla tradizione e non ho sentito pressioni in questo senso. Capitava che mi chiedessero di non uscire di casa se fuori c’erano troppe persone (la tradizione vede male il fatto che troppi occhi si posino su un bambino piccolo) e li assecondavo senza problemi ma per il resto spiegavo il mio punto di vista. Parto sempre dal presupposto che pur avendo abbracciato la cultura masai io non lo sono, sono una mamma italiana nella savana e ho idee e valori miei e sento il bisogno di mantenere la mia identità. Anche per questo non vesto abiti tradizionali masai. Non sento il bisogno di emulare una cultura per sentire di farne parte.
Pensi che non seguire la tradizione possa portare altre donne a seguire il tuo esempio?
Non penso che sarò io a cambiare le cose, le cose cambieranno perché le tradizioni sono in continuo mutamento. Non credo che le mie scelte siano così di impatto sulla comunità, sicuramente tante cose stanno cambiando anche nelle zone rurali, tante tradizioni si stanno evolvendo e stanno mutando e non mi stupirebbe se tra 10-15 anni non ci fosse più questa tradizione di chiudersi in casa dopo il parto.
Le donne Masai di cosa si occupano?
Dipende. Ho amiche che svolgono ogni mestiere, la popolazione masai è eterogenea e fatta anche da persone che hanno studiato, vivono in città e svolgono normali professioni. Nelle zone rurali per lo più si gestisce il bestiame, si taglia la legna, molte donne fanno gioielli e li vendono, raccolgono verdura nei campi, una classica vita di campagna.
Tu di cosa ti occupi?
La mia occupazione prevalente è fare la mamma. Ci svegliamo presto al mattino e prepariamo tutto, accendiamo il fuoco, mungiamo le mucche, prepariamo la colazione, io gestisco la casa e mi dedico il più possibile a mia figlia. Sui social mi definiscono un’influencer ma io semplicemente racconto la nostra vita. Inoltre abbiamo due attività, un negozio di oggettistica masai e un progetto di viaggio per visitare il Kenya in modo genuino e sostenibile.
Le persone del posto come guardano il tuo lavoro sui social?
Tanti nostri amici hanno i social, la tecnologia è presente tra i masai e non desta stupore. Inoltre non sembra strano che io scatti foto perché sono stata conosciuta come fotografa. Tutt’ora tutti si aspettano che sia io a fotografare i momenti importanti della comunità.
Secondo te la tecnologia puo essere una strada per migliorare la condizione economica del terzo mondo? Pensi che potrebbero aprire attività online ecc?
Credo che a livello tecnologico ancora non ci siano le attrezzature idonee. Qui da noi c’è poco campo, nelle zone rurali la tecnologia è complicata. Sarebbe un bel passo avanti già mettere dei ripetitori per la linea.
Tu racconti spesso che tutta la comunità si occupa dei bambini, è così?
Si, al momento Naresiai è nel boma nella nonna dove ci sono tanti cuginetti. Capita di non vedere nessuno ma è una vita molto comunitaria, è difficile non trovare sostengo in qualcuno. Per come sono fatta io ho bisogno di stare vicino a mia figlia, spesso capita che la porti a giocare nei boma delle mie cognate e io resti lì ma se avessi bisogno di lasciarla avrei tutto il sostegno possibile.
E i padri?
Sono piuttosto assenti in questa gestione familiare. Tipicamente i papà si occupano del lato economico, spesso vanno nelle grandi città a cercare lavoro e vivono fuori, tornando a casa ogni 5.6 mesi oppure pascolano il bestiame. E’ raro che un papà si occupi dell’aspetto pratico della vita dei loro figli. E’ una mansione femminile.
Tu sei d’accordo con questo approccio?
No, noi non abbiamo mai abbracciato questo approccio. Mio marito si è sempre occupato di tutto, dal latte al bagnetto. Spesso la mattina si occupa lui si svegliarla, vestirla e farle la colazione mentre io dormo un pò di più.
E’ una cosa su cui hai insistito tu o era un suo desiderio?
C’è stato bisogno di un periodo di transizione per capire come fare i genitori. Io e Ntoyiai siamo stati separati per un mese prima del parto per un rituale di passaggio a cui doveva partecipare come guerriero e lei è arrivata in anticipo. Non eravamo pronti e lui, pur essendo innamorato di sua figlia, non credeva di dover essere coinvolto. Con il tempo, la pazienza e qualche litigio ha capito che tipo di padre voleva essere per sua figlia e da quel momento è stato un padre meraviglioso.
Gli altri uomini della comunità come reagiscono a questo?
All’inizio per loro era strano vedere un uomo così fisicamente affettuoso con sua figlia. Con il tempo però anche altri guerrieri hanno iniziato ad imitarlo e ad essere espansivi con Nare, con piccoli gesti che significano un grande cambiamento. Anche tra bambini generalmente non è abitudine mostrare affetto ma da quando Nare ha iniziato a baciare tutti ha spinto anche gli altri ad imitarla. Mia figlia, con il semplice essere lei, ha dato vita a un grande cambiamento.
Un guerriero cosa fa di preciso nella comunità?
In realtà nulla di particolare, molti guerrieri hanno studiato, lavorano, ormai il guerriero come figura non esiste più ma è tenuto a rispettare alcuni riti e tradizioni in modo rigido. Dipende anche da quanto è tradizionalista la comunità in cui si vive, la nostra lo è molto.
Parliando di riti, tu hai dovuto farne qualcuno?
No, io ho avuto un battesimo in cui hanno benedetto il mio nome Masai ma non ho dovuto fare alcun rito di passaggio.
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2 Comments
Grazie, sono molto interessata alle tradizioni di altri popoli❤️
Grazie, sono felice che la puntata ti sia piaciuta!