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Ciao ragazze, oggi ho con me Claudia Segre, inserita nel 2019 nella classifica di Forbes tra le 100 donne italiane di maggior successo. Oggi è Presidente della Global Thinking Foundation, un’associazione che si occupa di promuovere l’empowerment femminile e la consapevolezza finanziaria per le fasce più vulnerabili della società.
Quanto sono fragili le donne in Italia?
La fragilità delle donne oggi dipende da molteplici fattori. Sono sottoposte a stereotipi culturali per i quali risulta normale che la donna guadagni meno rispetto a un uomo e da ciò dipende una frequente instabilità economica. Non bisogna tralasciare poi la mancanza di un welfare adeguato a sostegno delle donne con figli, ricordiamo infatti che il 13% delle famiglie italiane sono monogenitoriali con una donna come unico genitore.
Se non sbaglio tra le fasce più povere in Italia troviamo proprio le madri single?
Proprio così. Nonostante la spesa per gli asili sia tra le più basse in Europa (si parla di circa 1200 euro l’anno) solamente il 25% dei bambini riesce ad accedere al circuito degli asili comunali e ciò rende estremamente problematico per una donna sola conciliare lavoro e famiglia.
Com’è invece la situazione all’estero?
Se guardiamo ai paesi più vicini a noi geograficamente e culturalmente, la situazione è nettamente migliore. In Spagna negli ultimi 10 anni sono state attivate politiche sociali in comunione di intenti con il mondo imprenditoriale per far si che siano riconosciuti eguali congedi parentali a padre e madre. A partire da gennaio 2021 infatti entrambi i genitori avranno diritto a 16 settimane di congedo retribuite al 100%.
Io vivo in Austria e ho notato che, anche se qui il welfare familiare funziona benissimo, c’è ancora uno stigma culturale per cui gli uomini raramente prendono i congedi a cui avrebbero diritto.
Questo è un problema che esiste anche in Italia, infatti sono pochi gli uomini che prendono serenamente i pochi giorni di congedo a loro disposizione.
Lei parla spesso di alfabetizzazione finanziaria. Di cosa si tratta?
L’alfabetizzazione finanziaria è uno degli strumenti che noi utilizziamo nel nostro modello di empowerment femminile. Partiamo dalla considerazione che è necessario acquisire consapevolezza di ciò che riguarda il campo economico e la gestione del budget familiare. Avere tale consapevolezza permette di affrontare con maggiore serenità eventuali problemi economici e aiuta a raggiungere un benessere finanziario e sociale per tutti i membri della famiglia.
Come si arriva a questo obiettivo?
Bisogna partire dalla consapevolezza della propria libertà di scegliere il proprio destino. Parliamo di empowerment femminile perché la persona lavora nel consolidamento di sè stessa e delle proprie conoscenze, conoscenze che permettono di prendere alcune decisioni per sé stesse e la propria famiglia.
Le donne sono spesso diffidenti nei confronti dei soldi, ne parlano a fatica come se non le riguardasse, soprattutto quando si tratta di casalinghe. E’ d’accordo?
Il punto nodale del nostro lavoro è proprio lavorare su un cambiamento di mentalità e abbandonare lo stereotipò culturale per cui dei soldi se ne occupa sempre qualcun altro. Sappiamo che l’autonomia è la nostra forza e dobbiamo pretendere di condividere le scelte familiari. Spesso nella nostra associazione entriamo in contatto con donne i cui partner hanno problemi di gioco o shopping compulsivo e loro sono sono in grado di capire e gestire la situazione dal punto di vista economico.
Quanto incide l’indipendenza economica delle donne sulla parità nella coppia?
L’indipendenza è un aspetto fondamentale per iniziare un cammino insieme. Molte donne, alla fine dei nostri corsi, si dicono entusiaste di essere riuscite a effettuare da sole un bonifico o stabilire alcuni pagamenti. Questa sensazione di benessere finanziario permette di sentirsi serene della propria condizione sociale.
Tuttavia ancora si ha l’impressione che il lavoro femminile sia qualcosa di accessorio, un’integrazione del lavoro “vero” che è quello dell’uomo.
Questa considerazione emerge dai rapporti dell’Istat degli ultimi anni. Abbiamo invece prova come in tutti i paesi in cui si è investito sull’occupazione femminile si è visto un aumento della natalità, un miglioramento del Pil e una crescita culturale della società. Parlo di Francia, Nuova Zelanda ma anche Inghilterra dove la violenza economica è stata inserita legalmente tra le violenze domestiche.
Cosa intende quando parla di violenza economica?
Di una situazione in cui la donna viene isolata economicamente, privata di tutte le sue risorse economiche e non inclusa nelle decisioni che riguardano il budget familiare. Spesso dalla violenza economica si arriva alla violenza psicologica e infine alla violenza fisica. Il nostro obiettivo non è intervenire a posteriori ma fornire alle donne gli strumenti per prevenire l’abuso finanziario e saper condividere con il partner le risorse economiche familiari. Nel 2019 è uscito un documento della comunità europea in cui si specifica che più la donna non ha indipendenza economica più si trova a subire abusi in famiglia. Questo cambiamento culturale deve avvenire già sui più piccoli.
Come si può iniziare a parlare di questi argomenti con i più piccoli?
Noi abbiamo creato la piattaforma Young 612 che raggruppa una serie di progetti sviluppati durante la pandemia e fruibili a tutti. Comprende esercizi interattivi e video divisi per fascia di età e possono essere seguiti dai più giovani a scuola o in famiglia su tematiche sociali, culturali e ambientali.
C’è chi sostiene che il lavoro femminile crei problemi alla solidità della famiglia, che ne pensa?
I tempi sono cambiati, quasi sempre servono due stipendi per vivere e la donna che lavora è una donna che ha fatto la scelta di investire su se stessa e trasmettere conoscenze ed esperienze ai suoi figli. Lasciare alle donne la libertà di scegliere se lavorare è il minimo che ci si dovrebbe aspettare da una società civile. La partecipazione delle donne al mondo del lavoro deve essere vista come fondamentale non sono per l’uguaglianza di genere ma proprio per la libertà di partecipazione lavorativa di cui ogni persona ha diritto.
Cosa consiglia a una donna che sceglie di rinunciare al lavoro per dedicarsi alla famiglia?
Una donna che fa questa scelta in modo consapevole va sostenuta perché la sua scelta ha un valore in termini di tempo e di risorse fisiche e psicologiche. Questo valore deve essere riconosciuto dal compagno ma anche dalla società che invece tende a sminuire e dare per scontato il lavoro di cura.
Il fatto di non contribuire attivamente alle entrate economiche potrebbe svantaggiarla?
Non dovrebbe, perché ognuno nella famiglia porta un ruolo con un suo valore e tale ruolo deve essere riconosciuto. La donna deve avere potere nelle decisioni familiari a prescindere dal suo lavorare fuori casa. L’unico modo di darle valore è riconoscere l’importanza del suo ruolo.
Noi ascoltatrici cosa possiamo fare?
Dobbiamo prendere coscienza, cercare informazioni, rivolgerci alle tante associazioni no profit a disposizione della cittadinanza che possono accompagnare questo percorso di consapevolezza.
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