
Ciao ragazze, oggi ho con me Alice Bush, meglio conosciuta sul web come Alice lifestyle. Alice è un’imprenditrice digitale e la founder di Ritualmente, palestra di crescita personale. Inoltre è mamma di due bambini di due anni e mezzo e quasi sei mesi e oggi ci racconta come è stato per lei diventare madre.
Alice, come è stato avere due figli così ravvicinati?
Avere due figli sotto i due anni è stato ed è estremamente sfidante. Entrambi non sono autonomi e anzi, il primo figlio diventa ancora più richiedente dopo la nascita del secondo. Entrambi hanno bisogni pratici ed emotivi.
Come hai vissuto questa nuova gravidanza?
Non è stata una gravidanza cercata quindi all’inizio è stato uno shock. Nella nostra idea c’era un altro figlio idealmente non troppo distante dal primo ma mi ero appena riappropriata del mio corpo e dei miei spazi e pensare di ricominciare all’inizio è stata dura. Dopo la prima settimana-dieci giorni di shock però siamo stati felicissimi, nonostante la difficile situazione del Covid che si è verificata poco dopo. Da una parte mi ritengo fortunata perché sia io che il mio compagno abbiamo sempre detto che, se avessimo dovuto pianificarla, una seconda gravidanza chissà quando sarebbe arrivata. Prima il bambino è troppo piccolo, poi arrivano i terrible two, le prime autonomie e decidere di ricominciare non sarebbe stato semplice.
Io guardo sempre con ammirazione le famiglie con più bimbi piccoli. Con mio marito ci diciamo spesso che se dovessimo parlare di avere un secondo figlio ogni settimana per sei mesi sarebbe un segnale ma ancora non ci siamo arrivati. Tu hai sempre desiderato diventare madre?
No, non ho mai desiderato diventare madre. Io non mi considero una donna materna, da piccola non mi piacevano i bambini, non ne sono mai stata attratta. Ero molto focalizzata sulla carriera, ho studiato ingegneria, iniziato e quasi concluso un dottorato, sono andata a vivere a San Diego ed ero anni luce distante dal desiderare un bambino. Poi a 28 anni sono rimasta incinta del mio ex fidanzato in modo inaspettato. Avevo un’endometriosi conclamata, intolleranza alla pillola e non me lo aspettavo assolutamente. L’ho scoperto durante un viaggio in Italia e inizialmente ero disperata, poi sentendo questa vita dentro di me ho scoperto una parte di me fino allora sconosciuta e ho desiderato diventare madre.
Poi cosa è successo?
A 12 settimane ho avuto un aborto spontaneo con espulsione naturale, è stato molto traumatico. Degli aborti spontanei non si parla molto. Una donna che vive questa esperienza il più delle volte non è affatto preparata, anche se è una cosa molto comune. Questa esperienza ha segnato un punto di rottura con il mio ex che soffriva di assuefazione da alcuni medicinali per mantenere alte performance sul lavoro ma che aveva perso del tutto il suo lato emotivo e non soffriva con me di quella perdita. Dopo tre mesi, alla mia richiesta di farsi aiutare, mi ha cacciata di casa. Io vivevo a San Diego e stavo lanciando una start-up quindi non avevo quasi nulla e ho vissuto ospite da alcuni amici finché non ho deciso di partire per la Thailandia dove è iniziata la mia esperienza di nomade digitale.
Avevi ancora il desiderio di diventare madre?
In Thailandia ho fatto un percorso di crescita personale tramite la meditazione e la spiritualità. Mi sono resa conto che avevo sempre visto le mamme come donne vulnerabili e per quello mi ero concentrata su altro ma dalla perdita del mio bambino mi sono resa conto di voler davvero diventare mamma.
E’ un racconto molto commovente perché molte donne millennial oggi ritengono la maternità come una cosa svalutante per la donna. E’ come se non ci fosse una via di mezzo. O sei mamma e non sei altro o sei considerata in modo svalutante. Invece esiste una sana via di mezzo. Come è stata la tua trasformazione da non mamma a mamma?
La gravidanza di Sebastian è arrivata con il mio nuovo compagno dopo un altro aborto spontaneo. La gravidanza è stata bellissima, sono diventata mamma e la transizione è stata piuttosto naturale, ho iniziato a fare la mamma come volevo io. Non ho preso un congedo di maternità, non sono stata una mamma totalizzante, ho integrato Sebastian nel nostro modo di vivere e nei nostri valori che prevedono una realizzazione personale e questo mi ha fatto sempre ritagliare degli spazi con il supporto di mio marito.
Quello che hai detto mi incuriosisce. Spesso in Italia molte donne considerano un privilegio il congedo di maternità.
Lo è e credo che le aziende debbano dare questa opportunità. Io d’altro canto avevo avviato la mia azienda da poco, ho scelto di non fermare il mio business. Questo non significa che non mi sia presa del tempo ma la prima baby sitter è arrivata quando Sebastian aveva 3 mesi. Inoltre ho scelto di smettere di allattare quando ho ricominciato a lavorare perché mi stressava fare le call conference con il bambino attaccato al seno. Ho scelto per non fermare qualcosa che stava crescendo, ho scelto di non fare la maternità ma questo non significa che non ci sia stata. E’ solo un modello di genitorialità diverso.
Cosa intendi?
Mio figlio non è un mio progetto, avendo un progetto imprenditoriale molto ambizioso metto li tutta la mia ambizione, per lui io ho solo un ruolo materno, sono le braccia che lo sostengono ma non quelle che gli impediscono di cadere. Non ripongo tutte le mie aspettative su di lui.
Questa scelta contrasta con quella di molte mamme millennial cioè la maternità intensiva. Molte donne ambiziose lasciano da parte la carriera e mettono anima e corpo nei figli creando una maternità performante e una maternità come progetto. Si ritrovano ad investire tutto nei bambini e tu ci dimostri che ci si può allontanare da questo standard e stare comunque bene.
Io ho assecondato molto il mio modo di essere e quello di mio marito. Oggi vedo che Sebastian è un bambino molto felice. Nel suo primo anno di vita abbiamo girato il mondo con lui, lo abbiamo esposto a tutto in modo che lui scelga liberamente come vuole essere. Con noi i nostri figli capiscono di non essere sempre al centro ma di essere parte di un sistema famiglia.
So che molte donne che ci seguono ambiscono a questo tipo di relazione con i propri figli ma si sentono osteggiate dalla società, dalle famiglie di origine e dal senso di colpa. Io stessa ho allatto per i 15 mesi e per gli ultimi 6 mesi ammetto di averlo fatto soprattutto per senso di colpa. Come si esce da questa spirale?
Anche io ho subito critiche e consigli non richiesti e sono stata molto male. Ricordo di aver piano quando ho dato il primo biberon a mio figlio. Personalmente mi ha aiutata avere una visione olistica della nostra famiglia e del benessere di mio figlio. Se anche a livello medico e nutrizionale il latte materno è migliore non altrettanto è positiva una situazione familiare in cui la mamma è infelice. O se alcune teorie pedagogiche dicono che sia meglio tenere il bambino nel lettone ma per la mia famiglia è importante che la coppia abbia i suoi momenti di intimità al letto per stare insieme, parlare o leggere. Noi cerchiamo di tenere in considerazione i bisogni del bambino ma anche il suo bisogno di avere genitori felici. In questa società il bambino è al centro ma sarebbe più sano ogni tanto che venisse messo fuori dal centro. Dagli 0 ai 6 anni il bambino forma le sue credenze su come deve essere una relazione di coppia e le impara per osservazione diretta. Vedere dei genitori che si impegnano per la serenità di tutti è positivo.
Qualche mese fa Laura Formenti, che ho intervistato in un episodio di questo podcast, ha detto le stesse parole sulla non necessità di tenere il bambino al centro. Per voi questa è stata sicuramente la scelta migliore.
Assolutamente. Io sono molto felice e orgogliosa che mio figlio dorma nella sua stanza dopo una routine in cui abbiamo passato del tempo insieme ballando, facendo il bagno e giocando. I miei figli sono sereni e indipendenti e io ne sono molto fiera. La cosa importante è che la famiglia sia serena. Se non ci sono disagi ogni scelta è quella giusta, bisogna intervenire quando qualcuno dei membri della famiglia sta male.
Concordo. Io ho creato un corso con una consulente del sonno (Dormi tu che dormo io) per aiutare i genitori a incoraggiare l’autonomia dei bambini nel sonno e inizialmente sono stata duramente criticata.
Se Juliet o Sebastian in futuro ti recriminassero di esserti dedicata troppo alla carriera e di essersi sentiti trascurati cosa risponderesti?
Spero non succeda mai perché l’amore non manca. Quando ci siamo, ci siamo al cento per cento. Non rinuncerei oggi alla mia carriera per la paura di una sua ipotetica reazione in futuro. Se lo vedrò felice e realizzato cercherò di parlarci e capire da cosa dipende il suo stato d’animo. Oggi mi preoccuperei solo se vedessi improvvisamente dei cambiamenti come una forte aggressività.
In quel caso penseresti a una correlazione diretta con le tue azioni come madre?
Io sono più per indagare che per giudicare. Sicuramente so che dovrei rispondere allo stimolo che mi sta dando e mi porrei la domanda per capire se un mio o un nostro atteggiamento può essere correlato o magari se dipende da altri input come il nido o altri familiari.
Come vivi il rapporto dei tuoi figli con altre persone e altri ambienti? Io sono molto serena in proposito e trovo sano che mia figlia abbia tanti punti di riferimento.
Credo che l’esclusività materna sia molto pericolosa. I bambini hanno diritto di essere amati anche da altri. All’inizio io stessa avevo paura che qualcuno potesse privarmi del mio ruolo ma quando ho avuto occasione di passare del tempo con mia suocera e vedere come era brava con i miei figli mi sono ricreduta perché voglio che i miei figli ricevano amore e siano a contatto con tanti modelli.
Tu parli spesso di modello co genitoriale. Di cosa si tratta?
Io e Micheal abbiamo scelto di essere genitori entrambi al 100% perché abbiamo due carriere uguali, lavoriamo anche insieme e questo ci ha portato a definire regole interne in casa dove entrambi ci occupiamo di tutto e insieme facciamo i genitori. Non ci sono differenze. Siamo due personalità diverse e abbiamo punti di forza diversi, io sono più autoritaria, lui è più fisico e io più mentale. insieme co creiamo la nostra famiglia dove non arriva uno arriva l’altro. Nella società patriarcale in cui viviamo questo da meno credito a me e più credito a lui.
Cosa intendi?
Io vengo considerata una madre di serie B perché mio marito è presente al 100% mentre lui un padre di serie A perché si occupa di quello di cui mi occupo anche io. Spesso si riferiscono a lui come all’unico titolare delle nostre attività. Inizialmente mi sentivo in colpa ma lui, che è canadese, mi ha spiegato che li non esistono queste problematiche perché tutte le donne lavorano e i figli crescono tranquillamente nella collaborazione di genitori, nonni e strutture scolastiche.
Sto pensando a una mamma che tempo fa mi ha scritto per lamentarsi che i suoi figli, ormai grandi, la criticavano perché non faceva le lasagne buone come le mamme dei suoi amici. Tu come risponderesti?
Gli suggerire un corso di cucina per imparare a farle da solo. A parte gli scherzi credo siano importanti i messaggi che si trasmettono fin da quando sono piccoli. Se fin da subito vedranno un certo modello genitoriale poi difficilmente ne desidereranno un altro.
In Italia la co genitorialità non sempre è possibile. Nel mio caso il primo anno di nostra figlia mio marito lavorava fuori e stava finendo un dottorato quindi anche se io volevo adeguarmi a questo modello non potevo perché ero sempre sola. Lui aveva le responsabilità di un dipendente mentre io ero una partita iva. Come fare in questi casi?
Bisogna parlare con chiarezza e decidere quale lavoro conta di più. Spesso la decisione ricade su quello che ha un maggiore ritorno economico ma questo non significa che chi ha il lavoro meno solido debba mettere da parte i suoi bisogni. Io incoraggio le donne a dire cosa vogliono e di cosa hanno bisogno anche se dovesse significare investire il proprio guadagno nel nido o nella baby sitter. Non sono soldi buttati perché il lavoro non è solo soldi ma anche affermazione. La co genitorialitù serve a mettere sullo stesso piatto i bisogni e darsi pari opportunità.
Io ho sempre cercato di ragionare in questo modo. Anche se inizialmente mio marito lavorava e io no ho sempre preteso tempo per portare avanti i miei progetti che erano finanziati da mio marito. Mi sono data valore come individuo e ho investito su me stessa.
Esatto, il valore di un bisogno non si misura nel ritorno di quel bisogno. Le donne non devono essere zittite nei loro bisogni. Devono parlare ed esternare i loro desideri e ricordare che i partner non sono intoccabili in virtù del loro lavoro fuori casa. Possono e devono fare la loro parte quando sono a casa.
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Corso sul sonno del neonato Dormi tu che dormo io
L’Ora della Mamma è il podcast che tratta i temi legati alla maternità in modo a volte scomodo ma sempre reale.
2 Comments
Intervista molto interessante, lascia molti spunti di riflessione.
Grazie per averla ascoltata, Giorgia 😘