
Ciao ragazze, oggi ho con me Eva, meglio conosciuta su Instagram come Il Frutto della Passione.
Ciao Eva, dove ti trovi in questo momento?
Sono a Porto Seguro, nello stato di Bahia, in Brasile. Siamo in pieno periodo di Carnevale. Quest’anno per via del Covid non ci saranno festeggiamenti in grande ma comunque i brasiliani non rinunciano al clima festivo.
Raccontaci come nasce il tuo nome sui social
Nasce insieme al mio blog, che ho iniziato a scrivere nel 2012, quando ancora non ero mamma. Inizialmente la mia “passione” erano solo i miei desideri e appunto le mie passioni, con il tempo il nome ha acquistato senso pensando a tutto il percorso fatto dopo.
Partiamo dall’inizio. Come siete arrivati in Brasile?
Ci siamo trasferiti definitivamente a maggio del 2010 ma già dal 2009 io e mio marito Roberto facevamo avanti e indietro dall’Italia per seguire un progetto edile, la costruzione di un condominio con finalità di vendita. In realtà poi i proprietari hanno deciso di renderlo una struttura ricettiva e ci hanno chiesto di gestirlo. Ad oggi abbiamo esteso la proprietà con una cabana, una sorta di stabilimento balneare.
Da li è nata l’idea di condividere il tutto sul blog e sui social?
E’ stata più una mia esigenza di condividere le mie emozioni, soprattutto per la nostalgia di casa, la saudade, che mi ha portato a voler mettere nero su bianco quello che provavo. Poi i motivi si sono evoluti, la ricerca difficile della maternità ad esempio. Il blog è evoluto insieme alla nostra storia.
Come è stato vivere da expat i primi anni in Brasile?
Lo stato di Bahia ha le sue particolarità, è diversa dal resto del Brasile. Qui i tempi sono tutti più lenti, noi che siamo abituati a correre qui abbiamo dovuto rallentare. Un’altra differenza è nella spiaggia, noi siamo abituati a sdraiarci a prendere il sole, qui in spiaggia si sta seduti, si mangia e si beve, è un altro modo di vivere la spiaggia. Anche la tv è diversa, sono seguitissime le novelas brasiliane.
Come è nato il tuo desiderio di avere una famiglia?
Eravamo in vacanza in Italia e quando siamo tornati in Brasile la saudade che normalmente accompagnava il mio salutare l’Italia era stato meno pesante perché in quell’agosto io e Roberto abbiamo deciso di provare ad avere un bambino. Purtroppo non è mai arrivato in maniera naturale. La felicità di un primo momento si è presto trasformato in un dolore che mi ha accompagnato per diversi mesi insieme ai test negativi di gravidanza.
Quanto tempo avete provato?
Si è trattato di circa 6 mesi. In Italia prima di indagare i motivi si aspetta almeno un anno, io non ho avuto questa pazienza e già dopo 6 mesi ho voluto indagare. In quei mesi, anzi già da prima, ci eravamo avvicinati a una casa famiglia dove vivono bambini che non hanno la famiglia o che hanno bisogno di cure perché le madri non hanno la possibilità di crescerli, per poi riprenderli. Conoscevamo la suora laica che mantiene questa struttura e in qualche modo nel nostro cuore c’era già il desiderio di allargare la famiglia anche con un’adozione. L’adozione per noi è stato un piano A quando abbiamo scoperto l’infertilità di coppia. Con il senno di poi ho smesso di vedere l’infertilità come una cosa negativa ma come una deviazione necessaria per farmi trovare al posto giusto al momento giusto.
Nelle storie in evidenza del tuo profilo ho letto alcune tue parole sull’infertilità. Cito: “Esiste una parola per indicare la condizione fisica ma non esiste nessun nome che possa racchiudere dentro il terrore che si cela dentro persone che si trovano faccia a faccia con l’infertilità. Nel preciso istante in cui ho saputo della nostra condizione tutto quello che avevo ha smesso di bastarmi. Niente sembrava aver valore comparato a quella perdita. La vita da favola che avevamo costruito dall’altra parte del mondo, un mostro che non ha un volto di terrore ma è fatto di una materia ancor più dolorosa l’assenza. Niente è più doloroso del vuoto lasciato da qualcuno anche quando quel qualcuno è esistito solo nei nostri sogni”. L’infertilità è un argomento tabù che molti vivono come una sconfitta. Tu così hai dato la possibilità anche ad altri di parlarne. Siamo in un territorio poco esplorato.
Capisco bene ed è anche per questo che ho voluto portare avanti il blog e la mia pagina instagram. Per me è importante portare avanti questo messaggio. Gli psicologi parlando dell’infertilità come un lutto perché nella tua mente il bambino esiste ed è una perdita, come se la natura ti avesse strappato qualcosa che nella tua mente esiste già. Le domande arrivano, ma quando sono gentili anche le più indelicate non sono offensive, si tratta di normale curiosità perché se ne parla ancora troppo poco.
Tu hai ricevuto particolari domande?
Moltissime. Soprattutto quando sono diventata mamma adottiva nel luglio 2012. Quando è arrivato Noah Enzo aveva 8 mesi, oggi ha 9 anni. Lo avevamo già conosciuto nel centro, eravamo già in lista di attesa, volevamo capire se gli assistenti sociali potessero aiutarci a creare questo abbinamento. Ci era stato detto di no perché un bambino non si sceglie. Per noi però era stato amore a prima vista. Quando abbiamo ricevuto la chiamata e ci è stato detto che era proprio lui, la felicità è stata immensa. Non so perché cambiarono idea, all’epoca ci dissero che aveva già una famiglia e dovevamo essere felici per lui. Io ovviamente lo ero ma non ho mai saputo cosa è cambiato, se quella famiglia eravamo già noi e volevano solo farci capire di non poter scegliere un bambino. Alla fine è arrivato come un dono.
Adottare in Brasile è più facile che in Italia?
Parlando di Porto Seguro ti dico di si, già confrontandomi con Rio de Janeiro o San Paolo i tempi sono più lunghi. Per noi è stato più veloce di quanto sarebbe stato in Italia inoltre avendo il visto abbiamo potuto fare adozione nazionale.
A cosa ti riferisci quando parli di abbinamento?
Si parla di abbinamento quando in base alle esigenze del bambino e alle richieste della famiglia, l’equipe di assistenti sociali e psicologi che segue il percorso decide di legare determinati genitori a un bambino. Ci sono vari elementi che contribuiscono a creare questo legami.
Tu ti sei sentita subito mamma? Io dopo aver partorito mia figlia ci ho messo mesi se non anni a sentirmi a mio agio nel ruolo di madre.
Io mi sono sentita madre la prima volta che ho incrociato gli occhi di mio figlio, aveva 3 mesi e ancora non potevo chiamarlo mio. Quando lui è arrivato a casa mi sentivo già la sua mamma. Ogni donna ha i suoi tempi per sentirsi tale. Io credo che il sentirmi negata questa possibilità abbia accelerato in me questo istinto e quindi quando lui è arrivato a casa mi sono sentita subito la sua mamma. Gli assistenti sociali mi avevano detto che avrebbero fatto circa 4 controlli a sorpresa nel periodo di affidamento che precede l’adozione vera e propria. Dopo due visite a sorpresa ci dissero che non sarebbero più tornati perché era evidente il nostro legame sia da parte di noi che del bambino verso di noi.
Ricordi bene i primi momenti come genitore?
Quando abbiamo portato a casa Noah aveva 8 mesi e non riuscivo neanche a tenere la testa su, era debole e sottopeso. In due settimane, stimolato da noi, ha imparato a stare seduto, a usare le manine, a sorridere. In poco tempo siamo rinati insieme. Io non ho dato alla luce lui ma lui ha dato la vita a noi. La casa famiglia dove abbiamo trovato Noah non era un orfanotrofio con bambini abbandonati, i bambini erano e sono curatissimi, lui era amato e nutrito ma chiaramente l’attenzione di due genitori è un’altra cosa.
So che gli assistenti sociali consigliano alla famiglia adottiva di prendersi del tempo subito dopo l’adozion , qualche settimana per stare tutti insieme e far sentire al bambino la famiglia. Vi hanno dato queste indicazioni?
Qui la situazione è molto più libera. In Brasile possono adottare single, coppie omosessuali, c’è un’altra visione dell’adozione. L’interesse è rivolto tutto al bambino. Non ci hanno dato questo consiglio ma, mentre ad oggi la nostra struttura alberghiera porta via molto tempo, all’epoca eravamo all’inizio, avevamo tempo e non abbiamo avuto bisogno di chiedere a nessuno di darci tempo perché ne avevamo per i primi anni gestivamo tutto in modo personale, non avevamo datori di lavori con tempi o scadenze.
Qualche anno dopo avete fatto un percorso di PMA, procreazione medicamente assistita. Come è stato questo percorso?
Noah Enzo ha colmato tutto il mio desiderio di diventare madre. Ho continuato a sentire un debito con il mio corpo che ancora non era riuscito a dare la vita. Era rimasto il desiderio di una gravidanza. E’ stato questo che ci ha spinto qualche anno dopo a iniziare il percorso di PMA. Il primo tentativo è stato nel febbraio 2014 che ha portato una prima gravidanza che purtroppo non è evoluta. Ho avuto un aborto, altro argomento tabù. Quando mi chiedono quanti figli ho dico 3, perché questo bambino sebbene non sia venuto alla luce è esistito e continua ad esistere nel mio cuore, ho foto delle ecografie e sebbene la medicina ancora non lo definisse bambino ma feto per me era già il mio bambino. Ci ho messo 1 anno e 7 mesi prima di elaborare la perdita e riprovare.
Mi descriveresti il percorso di PMA per chi non sa di cosa si tratta?
Si comincia con la stimolazione ovarica attraverso medicinali via endovenosa nella pancia. Si cerca di preparare al meglio gli ovuli, farli sviluppare fino a farli diventare di dimensione tale da essere prelevati con un pickup sotto anestesia. Dopo che sono stati prelevati, vengono fecondati con il seme del compagno o di un donatore. Una volta avvenuta la fecondazione in vitro, vengono reinseriti gli ovuli fecondati con un transfer e vengono adagiati nell’utero. Da li è il tuo corpo che inizia il suo lavoro. Io in quel momento ero molto impaurita e preoccupata anche solo per pensare di essere incinta dopo anni di infertilità. Quei 15 giorni che precedono l’esame delle beta che ti dirà se sei o meno incinta sono molto duri.
Immagino che questi 15 giorni siano un limbo in cui si ha paura della propria stessa speranza.
Si, questo limbo non lo vive chi rimane incinta naturalmente. Una volta che rimane incinta sa di esserlo, non ha l’attesa nel sapere di avere degli ovuli fecondati nella pancia.
Le mie amiche che hanno avuto una gravidanza con PMA e senza mi hanno detto che è una gravidanza più lunga perché tu vivi tutto da prima ancora del concepimento, con la stimolazione ovarica vivi già un’altalena ormonale. Nel mio circolo di amici come periodo è stato un po difficile per la coppia. Per voi come è stato?
Ci sono stati alti e bassi sia nel periodo di infertilità che oggi come genitori. Sicuramente una coppia che affronta questo percorso ne ha in modo particolare, la pressione psicologica è molto forte. A Settembre 2015 abbiamo fatto il secondo tentativo e a maggio 2016 è nata Nina Flor. Oggi sto scrivendo un romanzo sulla nostra vita che uscirà a breve e spero che potrà essere di aiuto e di ispirazione per tutti coloro che stanno vivendo qualunque ostacolo che io tratto nel romanzo. Ostacoli che in realtà diventano tutti delle occasioni e delle opportunità.
Hai mai avuto la sensazione di non dover o poter parlare dei tuoi limiti come mamma proprio perché hai desiderato i tuoi figli a lungo? Spesso mi sento raccontare da mamma che hanno avuto percorsi simili ai tuoi che pensavano di diventare mamme perfette per aver faticato molto ad avere figli ed essere poi state mangiate dai sensi di colpa per non essere all’altezza di questi standard che si erano imposte.
Io ne parlo poco, cerco sempre di concentrare l’attenzione sul percorso che ho fatto per avere i miei figli ma è ovvio che nel quotidiano non sia tutto rose e fiori. Non ne parlo spesso ma come tutte le persone sono una mamma che si arrabbia, che litiga, oltretutto mio figlio ha 9 anni e cominciano le prime domande. Lui conosce la sua storia ma cominciano le prime domande scomode e diventa complicato trovare risposte che non lo facciano soffrire. Essere genitore scinde dal percorso che si è fatto per arrivare ad esserlo.
Io rispondo sempre di non autoimporsi delle aspettative. Il percorso che ci ha portate alla maternità non dice nulla di noi e del nostro essere madri.
Concordo. Io ho partorito mia figlia con parto cesareo, questo non mi rende una mamma di serie B. Il mio unico rimpianto è stato di essermi goduta poco i miei figli in questi ultimi anni per via della mia malattia ed anche per questo parlo poco delle difficoltà che incontro come madre, perché c’è sempre qualcosa di più grosso a cui devo pensare. Ma non esistono madri migliori o madri peggiori.
Sui social racconti anche della tua malattia, che hai scoperto quando avevi da poco partorito la tua bambina.
Si, quando mia figlia aveva 40 giorni ho scoperto un melanoma in stadio avanzato. Da li è iniziata una lotta che continua ancora oggi di cui parlo molto apertamente sui miei social. Il mio intento è aiutare a rompere un pochino questi tabù, questa vergogna che si cela dietro ad argomenti ritenuti scomodi ma che fanno parte di tante persone. Chi le vive scopre che siamo tantissimi sia per quanto riguarda l’adozione che per l’infertilità, la PMA e la malattia.
Immagino tu sia diventato un punto di riferimento per tante persone che leggendo le tue storie si identificano nelle tue lotte.
Non so se sono un punto di riferimento ma sono felice del messaggio che mando. Io per prima quando esterno certe emozioni ricevo un calore e mi fa piacere fare lo stesso con chi tiene dentro di se questo dolore.
Trovo che sia un bellissimo modo di usare i social. Condividere le proprie esperienze per sentirsi vicine anche a persone lontanissime. Ti ringrazio per questo. Dove potremo acquistare il tuo libro?
Appena sarà disponibile darò tutte le informazioni sui miei canali social.
Pagina instagram Ilfruttodellapassione
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